sabato 31 dicembre 2016

Ischemia miocardica: cinque esami che possono salvarti la vita

Ecco i cinque esami più importanti per l'ischemia miocardica: vota il tuo preferito e poi leggi l'articolo per scoprirne tutte le caratteristiche.

 
«Prevenire è meglio che curare», ma in questo caso sarebbe più opportuno dire «prevenire è meglio che morire». Dati statistici dicono che la mortalità per ischemia miocardica costitutisce il 46% delle cause di morte in Italia e il 20% di quelle in Europa.

Ma che cosa è questa ischemia miocardica? Qual è la sua origine? L’ischemia miocardica è uno stato di sofferenza del muscolo cardiaco (appunto il miocardio). La sua origine più comune è la stenosi coronarica, ovvero un restringimento del lume delle coronarie (vasi che si occupano della perfusione del miocardio) causato da accumulo di depositi di grasso e altre sostanze che viaggiano nel sangue e che vanno a formare la placca aterosclerotica.

La placca aterosclerotica

Questa placca impedisce il normale flusso del sangue nelle coronarie, con conseguente ridotto apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco che quindi fa più fatica a contrarsi. In alcune situazioni, come nei cuori ipertrofici che richiedono grandi quantità di sangue e ossigeno per funzionare, anche in assenza di placca aterosclerotica si potrebbe verificare un’improvvisa contrazione del vaso coronarico con conseguente ischemia.

Quando ce ne accorgiamo? Se si percepisce un senso di costrizione o dolore al petto (angina pectoris) che tende a irradiarsi nelle aree circostanti durante una gara sportiva, mentre si prova una grande emozione o dopo un pasto abbondante, si potrebbe avere in corso un’ischemia. Questa tipicamente però ha una durata di 10-15 minuti (ischemia transitoria e irreversibile), oltre i quali non si parla più di ischemia ma di infarto (ischemia protratta e irreversibile). In questo caso bisogna chiamare immediatamente il 118.

Tipicamente il dolore aumenta con lo sforzo e diminuisce con il riposo. Durante lo sforzo infatti il cuore ha bisogno di una maggiore quantità di ossigeno per permettere la contrazione delle cellule miocardiche. Non arrivando però abbastanza ossigeno le cellule miocardiche si mettono a riposo, entrando in una fase detta stunning (stordimento), terminata la quale tutto torna alla normalità.


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Attenzione, però: in alcuni pazienti, soprattutto in quelli diabetici, l’ischemia può essere silente, quindi potrebbe verificarsi senza che il paziente se ne accorga. In questi casi l’unico modo per accertarsene è quello di sottoporsi ad indagini specifiche, considerando la presenza di fattori di rischio come fumo, elevato livello di colesterolo nel sangue, vita sedentaria, obesità, pressione alta, appunto diabete e fattori genetici.

Cosa fare, dunque? Se si pensa di avere subìto un’ischemia miocardica transitoria o semplicemente si teme di avere qualche sofferenza cardiaca non bisogna sottovalutare il problema e, per prima cosa, si deve contattare il medico di base. È importante sottoporsi ad alcuni esami e nell’eventualità si può intervenire prontamente, per evitare che il progredire della malattia sfoci in una situazione irreversibile.

 

Elettrocardiogramma sotto sforzo

Per notare cose che sfuggono al normale ECG

L'elettrocardiogramma sotto sforzo, uno degli esami più importanti per l'ischemia miocardica
L’elettrocardiogramma sotto sforzo, uno degli esami più importanti per l’ischemia miocardica

L’elettrocardiogramma sotto sforzo non è un esame invasivo, non prevede la somministrazione di farmaci e dura circa 30-45 minuti. Il principio è lo stesso dell’ECG di base. Vengono posizionati 10 elettrodi sulla gabbia toracica e sugli arti in modo da ottenere 12 differenti derivazioni.

Cos’è una derivazione? È la differenza di potenziale che viene registrata, tramite un dispositivo che misura il voltaggio, tra due elettrodi. Ogni derivazione presenta 3 caratteristici tipi di onde: onda P, complesso QRS, onda T. L’obiettivo è quello di registrare una traccia dell’attività elettrica del cuore e di individuare eventuali anomalie.

Una corsetta

Lo sforzo è l’elemento principale che lo differenzia dal classico ECG. Il paziente deve infatti fare una corsa su un tappeto rotante o pedalare su una cyclette in modo da aumentare il fabbisogno del cuore. Questo permette di identificare patologie quali l’ischemia miocardica transitoria, che con l’ECG di base non potrebbero essere studiate in quanto si verificano solo in caso di aumentata richiesta di sangue e quindi di ossigeno da parte del cuore.

Il tracciato registrato può presentare delle anomalie. Alcune aree del cuore non adeguatamente perfuse potrebbero contrarsi in modo asincrono rispetto alle strutture controlaterali, in misura minore o addirittura potrebbero fermarsi. Lo sforzo è progressivo e viene modulato dal cardiologo che tiene sotto controllo la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa del paziente tramite un monitor. L’esame viene svolto da personale altamente specializzato e al paziente viene fatto firmare un consenso informato ad eseguire la prova.

 

Ecocardiogramma sotto sforzo

Il primo esame di imaging diagnostico

Un ecocardiogramma effettuato dai medici dell'esercito americano
Un ecocardiogramma effettuato dai medici dell’esercito americano

Con l’ecocardiogramma sotto sforzo entriamo negli esami di imaging diagnostico. Infatti se prima, con l’elettrocardiogramma da sforzo, acquisivamo una traccia dell’attività elettrica del cuore, con l’ecocardiogramma da sforzo acquisiamo delle immagini del cuore secondo alcune proiezioni tipiche utili alla diagnosi.

L’ecocardiogramma sotto sforzo viene effettuato in caso di elettrocardiogramma da sforzo dubbio o non interpretabile. A differenza del primo, in questo caso non è però possibile valutare cosa succede al cuore durante il progressivo sforzo fisico. Dopo avere acquisito delle immagini a riposo tramite una sonda ecografica, il paziente è chiamato a correre su un tappeto rotante o pedalare su una cyclette per qualche minuto fino a raggiungere l’intensità massima.

Il confronto tra le immagini

Immediatamente dopo lo sforzo il paziente si sdraia su un lettino dove il medico acquisirà nuovamente le immagini che aveva acquisito a riposo, entro un minuto e mezzo dalla fine dell’esercizio. In questo modo il personale può fare un confronto tra le immagini acquisite a riposo e quelle rilevate subito dopo l’esercizio fisico e valutare le eventuali differenze.

Nel caso dell’ischemia miocardica, l’esame ci dà informazioni sulla contrattilità del cuore prima e dopo lo sforzo e ci permette di identificare quali sono le aree interessate, oltre a fornirci informazioni di flusso e portata che permettono di stabilire la gravità della coronaropatia.

Questi primi due esami vengono considerati di primo livello. Qualora risultino positivi o non conclusivi si prosegue quindi l’indagine diagnostica con esami di secondo livello, più specifici, come i due che seguono.

 

Risonanza magnetica da stress

Studiare il miocardio con un vasodilatatore

Un tecnico durante un esame di risonanza magnetica, uno dei più importanti per prevenire l'ischemia miocardica
Un tecnico durante un esame di risonanza magnetica, uno dei più importanti per prevenire l’ischemia miocardica

La risonanza magnetica da stress ci permette di ottenere immagini ad alta risoluzione per la caratterizzazione della contrattilità, della perfusione e del danno tissutale a livello miocardico. Lo studio viene eseguito in due momenti: il primo durante la somministrazione di un farmaco vasodilatatore (solitamente l’adenosina) e il secondo in condizoni di riposo. Lo scopo del farmaco è quello di determinare una vasodilatazione del lume vascolare delle coronarie sane, che non è possibile nelle sedi di un’eventuale stenosi coronarica.

In questo modo le aree di miocardio normalmente perfuse da coronarie in cui è presente una stenosi saranno ipoperfuse nelle immagini acquisite durante lo stress farmacologico, permettendo di identificare un’ischemia miocardica inducibile.


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È stata dimostrata inoltre l’utilità della RM da stress nella diagnosi d’ischemia nei pazienti con cuore ipertrofico. Né l’ECG né l’ecocardiografia danno risultati soddisfacenti in tal senso. Certo, qui c’è una certa invasività, che è legata alla somministrazione del farmaco vasodilatatore (l’adenosina tuttavia è caratterizzata da un buon profilo di sicurezza) e del mezzo di contrasto a base di gadolinio, che richiedono la presa di due accessi venosi.

Le controindicazioni

Durante l’esame il paziente rimane disteso sul lettino all’interno del gantry della RM ma in continuo contatto visivo e uditivo con i tecnici di radiologia. L’esame dura generalmente 45-60 minuti. C’è però qualche controindicazione, nel caso allergie note al mezzo di contrasto, di ipotensione arteriosa (PAS minore di 100 mmHg), di asma, di angor instabile.

Inoltre bisogna prestare attenzione anche ai casi di insufficienza cardiaca scompensata, di sindrome del QT lungo, di blocco atrioventricolare di grado 2 o 3, di broncospasmo, di trattamento con dipiridamolo. Infine bisogna tener presenti tutte le controindicazioni abituali alla RM, come la presenza di oggetti metallici all’interno del corpo e claustrofobia. È importante verificare l’assenza di tutte le controindicazioni prima di iniziare l’esame.

Un grande vantaggio della RM è il fatto che sfruttando i campi magnetici e i loro effetti negli atomi di idrogeno presenti nel nostro corpo (effetti momentanei e per nulla rischiosi) non si fa uso di radiazioni ionizzanti, come invece avviene nel prossimo esame.

 

TAC coronarica

Radiazioni per salvare dall’infarto

Una moderna macchina per TAC
Una moderna macchina per TAC

Diciamo subito che la TAC coronarica fa uso di radiazioni ionizzanti. È vero però che la dose di radiazioni erogate può essere dimezzata utilizzando protocolli adeguati e tecnologie all’avanguardia. Per questo è importante rivolgersi a centri ad alta specializzazione. In ogni caso è bene avere chiaro che il beneficio che si può trarre da questi esami è senz’altro superiore al rischio a cui si va incontro.

Come avviene l’esame? Dopo avere accertato l’assenza di controindicazioni, anche in questo caso al paziente viene preso un accesso venoso per la somministrazione del mezzo di contrasto. Una volta in sala d’esame il paziente viene dotato dei sistemi di protezione dalle radiazioni ionizzanti e fatto distendere sul lettino che durante l’esame scorre in avanti e indietro all’interno dello scanner.

Valutare la predisposizione all’infarto

La TAC dura pochi minuti e al paziente viene richiesto di trattenere il respiro durante le acquisizioni in modo che il movimento respiratorio non interferisca nella qualità dell’immagine. Il grande vantaggio della TAC coronarica sta nella sempre più elevata risoluzione spaziale e nella presenza di numerosi software che permettono di quantificare il deposito di calcio nelle coronarie e di misurare il flusso a monte e a valle in modo da identificare una eventuale caduta del flusso e fare una valutazione quanto più accurata possibile della predisposizione all’infarto del miocardio.

Se a valle viene riscontrata una caduta del flusso di sangue nelle coronarie molto probabilmente vuol dire che qualcosa all’interno del vaso impedisce al sangue di scorrere normalmente. La precisione e l’accuratezza di questi esami è importantissima per ridurre al minimo la necessità di sottoporsi all’esame più invasivo, ovvero la coronarografia, che permette di individuare il trattamento più idoneo.

 

Coronarografia

Un catetere nell’arteria femorale

Un moderno laboratorio di cateterismo (foto di Glitzy queen00 via Wikimedia Commons)
Un moderno laboratorio di cateterismo (foto di Glitzy queen00 via Wikimedia Commons)

La coronarografia è considerato un test di routine, anche se in realtà, essendo un esame invasivo, dovrebbe essere praticato solo quando è strettamente necessario. Viene svolto da cardiologi interventisti affiancati dal tecnico di radiologia. Il paziente viene sedato per favorire il rilassamento ma comunque mantenuto cosciente. Viene inserito un catetere nell’arteria femorale e una volta raggiunto il cuore si somministra il mezzo di contrasto. Con un apparecchio a raggi X si visualizza in tempo reale il flusso di sangue nelle coronarie tramite un monitor.

Se il test è positivo, in base alla gravità dell’ostruzione, si può decidere di intervenire contestualmente effettuando un’angioplastica (inserimento di stent) o, nei casi più gravi, un bypass coronarico. Qualora invece il rischio di ischemia miocardica sia molto ridotto, generalmente si procede con farmaci mirati come betabloccanti, calcioantagonisti, antiaggreganti e nitrati.

Quindi, richiamando il detto citato all’inizio del «prevenire è meglio che curare», facciamo le indagini giuste e mettiamoci il “cuore” in pace!

 

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Fonte: https://www.cinquecosebelle.it/ischemia-miocardica-cinque-esami-che-possono-salvarti-la-vita/

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