giovedì 3 novembre 2016

Le Ragazze di Emma Cline siamo (state) noi. Uno specchio, finalmente

Chiudere un libro per l’ultima volta per me è sempre un atto privato che mi lascia quasi sempre esanime. Mi ritrovo a fissare il vuoto, e lì rivedo ballonzolare i personaggi che hanno popolato la storia. Per un po’, se si stratta di un libro particolarmente bello, finisco per pensarci e ripensarci, per vedere nelle mie azioni e nei miei pensieri quello che facevano e pensavano i protagonisti del libro. Anche con Le Ragazze di Emma Cline è successo – ovviamente – tutto questo.

L’ho finito sabato pomeriggio che ero da sola in casa, così mi sono potuta godere tutta questa sensazione malinconica ma estremamente piacevole. Le Ragazze è un libro bellissimo. Nonostante sia sempre restia a dare definizioni di questo tipo, così entusiastiche, questa volta no. Dentro c’è tutto. C’è una storia avvincente e tremenda ma che riesce quasi sempre a rimanere sullo sfondo. Perché ciò che è davvero protagonista è quell’età di mezzo, la più triste e tragica delle nostre vite, perché è quella in cui non abbiamo strumenti per decifrarla e siamo circondati da persone che non ci possono aiutare: i nostri coetanei e i nostri genitori, per quella manciata d’anni i nostri più acerrimi nemici. Gli occhi sono quelli di Evie, una ragazzina sfigatella come lo siamo tutti a quell’età, anche quelli che guardiamo con invidia e occhi tesi a carpire gesti e azioni da ripetere poi con noncuranza, per sentirci almeno belli e leggeri la metà.
Cline in questo libro riesce a dipingere a tutto questo, a parlarne con forza e maturità estrema, e ti ritrovi, anche oggi, a provare per lei un’invidia simile a quella dei nostri quindici anni. Una ventottenne che non usa i social e sforna questa opera prima che ti lascia di stucco non può che farti un po’ incazzare (se ti è capitato di scrivere più di una lista della spesa negli ultimi anni), oltre che farsi leggere in maniera compulsiva. Le motivazioni sono numerose, ma una è secondo me la più importante. Niente è superfluo. Non un aggettivo, non una scena, non una descrizione. Non arriva mai a far detestare un personaggio, nonostante ce ne siano eccome di personaggi da detestare. Riesce a dipingere tutti dando esattamente quelle sfumature che vede Evie mentre vive quei mesi pazzi. Che rivive dopo attraverso i suoi racconti e i suoi pensieri da adulta. Vedi le scene, i vestiti sgualciti, la madre e l’appartamento del padre, Russell e Suzanne come se gli occhi fossero i tuoi. Non è facile non sprecare parole, non finire per essere leziosi nelle descrizioni, nell’aggiungere paragoni dove non servono, dove è già tutto chiaro così com’è. Non è facile, anzi è complicatissimo, descrivere cosa passa nella testa di una pre-adolescente, e Cline riesce a farlo anche nei momenti in cui a vivere la scena sono i personaggi minori come Sasha e Julian. Le incertezze, gli sguardi che si distolgono, la precarietà di certe prese di posizione. Perfetti.

Ci sono intere frasi de Le Ragazze che andrebbero incorniciate per la loro bellezza.

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Ci sono intere frasi de Le Ragazze che andrebbero incorniciate per la loro bellezza. Una bellezza mai banale, mai stucchevole, mai sovradosata, mai da Bacio Perugina. Leggendole mi sono rivista migliaia di volte, ho ricordato quella lettera noiosamente malinconica che non ho mai spedito a un’amica conosciuta in vacanza-studio in Inghilterra. Ho ricordato i miei dr Martens con i lacci bordeaux, le tinte viola fatte in casa che poi non notava nessuno. La tenerezza delle penne colorate e profumate con cui pateticamente scrivevo Hasta la victoria nel diario di un’amica, quel pomeriggio che senza avvisare nessuno tagliai mezzo metro di capelli e, allo stesso tempo, la mancanza di coraggio nel guardare negli occhi quel tipo che mi piaceva al liceo. In una parola: inadeguatezza. Tremenda e tragica inadeguatezza uguale per me come per una ragazzina che negli anni Sessanta si avvicina a una comune di disperati guidati da un santone-fantoccio. A cambiare forse è la percentuale di convinzione che tutto sia davvero possibile, un giorno. Ma forse è che ora sono lontana da quei pomeriggi in cui avrei dovuto tradurre il De Bello Gallico invece che pensare che nessuno mi capivo e quindi ricordo male, come tutti gli adulti che provano a dare dei consigli a degli adolescenti.

Io non sono una da sottolineature nei libri, lo dicevo anche su Twitter qualche giorno fa. Con Le Ragazze lo avrei fatto in tantissime occasioni. Ok, non soltanto con Le Ragazze, ma è stato molto strano leggere un libro oggi e ritrovarsi come quando leggevo Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Anzi, molto di più, perché quello era un protagonista maschile e spesso parlava di cose che non capivo, perché era un romanzo dove la grande città pesava, dove le vite erano diverse dalla mia. Finalmente esiste un libro come Le Ragazze dove al centro ci siamo noi, c’eravamo noi, come nelle nostre Smemorande, soltanto che le riempivamo di nomi di maschi brufolosi, come le protagoniste del romanzo di Cline riempiono i loro occhi di Russell. Questo romanzo è un vero manifesto proprio perché non ha la pretesa di esserlo. È forte nella sua banalità, nella semplicità struggente con cui riesce a dipingere quello che pensavamo e quello che in tantissime occasioni continuiamo a pensare. È un manifesto della nostra solitudine che pensiamo sia possibile relegare a quando non sapevamo come truccarci e che invece è ancora qui, a farci compagnia.

Leggetelo tutti.

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Fonte: http://www.cosebellemagazine.it/2016/11/03/le-ragazze-emma-cline-recensione/

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